Giuliano Briganti
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Paragone

Paragone
Rivista fondata da Roberto Longhi nel 1950

Giuliano Briganti, storico dell’arte moderna e contemporanea, 1918-1992. L’indovinello di “Paragone” è una sua invenzione

LAURA LAUREATI 
 
Giuliano Briganti nasce a Roma il 2 gennaio 1918 da Clelia Urbinati e Aldo Briganti, storico dell’arte. Si laurea in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma con Pietro Toesca il 22 giugno 1940 con una tesi sul Manierismo e Pellegrino Tibaldi, tesi suggerita da Carlo Ludovico Ragghianti e seguita da Roberto Longhi. Il legame del giovane Briganti con Roberto Longhi non ha una data d’inizio, esiste da sempre poiché Longhi è coetaneo, amico e compagno di studi e lavoro di Aldo Briganti, ne frequenta quindi la casa seguendo gli studi universitari del figlio. Dal 1941 al 1943 Briganti è assistente di Roberto Longhi e lavora nel suo studio di via Fortini 30 a Firenze. Nel 1937, a 19 anni, scrive i primi saggi d’arte contemporanea sulla rivista di politica e letteratura “La Ruota”. Il 9 febbraio 1941 Giovanni Gentile, in una lettera scritta a macchina (conservata nell’archivio Giuliano Briganti di via della mercede 12a, Roma), chiede a Giuliano Briganti di redigere una serie di voci per l’Enciclopedia Italiana. Dal 25 giugno 1944 fino alla fine del 1945 è redattore responsabile del settimanale “Cosmopolita”, giornale nato, sul modello del francese “Candide”, all’indomani della liberazione di Roma, in un’Italia che è ancora in gran parte occupata dai tedeschi. Su quel settimanale, un antenato de “L’Espresso” anche nel formato, scrivevano giovani “d’ingegno” allora agli inizi della loro professione, quali, tra gli altri, Michelangelo Antonioni, Carlo Lizzani, Alberto Moravia, Giorgio Bassani, Brunello Vandano, Giovanni Macchia, Enzo Forcella, Arrigo Benedetti, l’economista Guido Carli, Mario Praz, Renato Guttuso, Roberto Longhi, lo storico-diplomatico inglese Harold Nicholson, il padre di Benedict Nicholson, notissimo storico dell’arte e futuro direttore del Burlington Magazine. Su “Cosmopolita” il 19 Agosto 1944, veniva inoltre pubblicato “Il Manifesto degli intellettuali d’America”, firmato da Giuseppe Antonio Borgese, Giorgio La Piana, Gaetano Salvemini, Arturo Toscanini e Lionello Venturi, tutti scappati e quindi scampati al regime fascista. Nel 1945 Briganti pubblica la sua prima monografia, il seguito della tesi di laurea, Il Manierismo e Pellegrino Tibaldi. Fin dal 1950, fa parte della redazione di “Paragone”, la nuova rivista mensile allora fondata da Roberto Longhi. Dal 1965 al 1968, chiamato a “L’Espresso” dal giovane Eugenio Scalfari, succeduto ad Arrigo Benedetti nella direzione del settimanale, ne cura la rubrica dell’arte. Dal 1976 lo stesso Scalfari fonda “la Repubblica” e lo vuole come curatore della pagina dell’arte del neonato giornale. Vi scriverà fino alla morte, alla fine del 1992. Dal 1972 insegna all’Università, prima a Siena, storia dell’arte moderna e contemporanea, poi a Roma, dal 1983, storia dell’arte moderna. I suoi libri più noti: La maniera italiana del 1961, Pietro da Cortona o della pittura barocca e Il Palazzo del Quirinale del 1962, Gaspar van Wittel e l’origine della veduta settecentesca del 1966, I pittori dell’immaginario del 1977, Gli amori degli dei. Nuove indagini sulla Galleria Farnese del 1987. Nel 1991 pubblica il catalogo generale delle opere di Filippo de Pisis. Nel 1979 cura, a Palazzo Grassi a Venezia, la mostra de La pittura metafisica. Questo un rapidissimo e approssimativo excursus della sua vita professionale.

La biografia più completa di Giuliano Briganti forse l’ha scritta lui stesso, poco prima di morire, nel gennaio del 1992, quando durante due lunghe conversazioni radiofoniche con Gabriella Caramore, risponde alle domande di quella intervistatrice un po’ speciale che è la Caramore. In quella lunga conversazione con lei e con alcuni amici che lei chiamò ad intervenire in trasmissione, quali Federico Zeri, Giorgio Ruffolo, Paolo Fossati e Raffaele La Capria, Giuliano Briganti ebbe agio di raccontare tutta la sua vita di uomo di cultura e di studioso. Vorrei saper assumere con voi lo stesso tono colloquiale che usò lui per parlare semplicemente di se stesso rispondendo alle domande dell’intervistatrice. Ci proverò cercando di incuriosire ed interessare il pubblico senza annoiarlo. Compito questo assai difficile.
Vorrei iniziare tracciando una rapida linea degli storici dell’arte italiani a partire da Adolfo Venturi, di alcuni di quelli almeno che sono stati trattati nel volume di Alessandro Masi, L’occhio del critico, volume che è stato poi quello che ha dato il via a queste conversazioni. Riducendo la questione ad uno schema semplice partiamo da Adolfo Venturi, il creatore della cattedra di storia dell’arte alla facoltà di Lettere dell’Università di Roma. Venturi ebbe come allievi, o discepoli, tra gli altri, suo figlio Lionello, e Roberto Longhi che seguì le lezioni di Adolfo Venturi durante il corso di perfezionamento.Tra questi due storici dell’arte, i padri fondatori, si creò una scissione tale che, da allora in poi, divise il mondo degli studiosi italiani (e non solo) delle discipline di arte figurativa in venturiani e longhiani. Ognuno dei due “maestri” pretese di superare l’altro e ognuno dei seguaci di uno schieramento pretese di superare e combattere il suo contemporaneo dello “schieramento avverso”. Fu una battaglia combattuta, nella prima metà del Novecento, non solo nel mondo delle idee ma in quello delle cattedre universitarie, del potere dell’insegnamento e della diffusione della cultura attraverso tutti i mezzi d’informazione allora conosciuti dai giornali ai settimanali, alle riviste specialistiche, dalle case editrici, alla televisione, ai suoi primi bagliori. I metodi di studio della materia sembravano diversi e Longhi riteneva, diversamente da Lionello Venturi, un tempo suo amico, di studiare direttamente le opere e riconoscerle con l’occhio acuto del conoscitore, il connoisseur. Lionello Venturi, a sua volta, riteneva riduttivo lo studio dell’opera d’arte ricondotto alla semplice conoscenza e al riconoscimento dell’identità dell’artista, ampliava quindi il campo esaminando l’opera d’arte da punti di vista diversi, di ordine estetico, storico, filosofico, ecc.. L’uno, Roberto Longhi, aveva assunto il ruolo del connoisseur, l’altro quello del critico d’arte. Quale fosse stato esattamente il punto di partenza della diatriba non è dato più sapere e forse entrambi, Roberto Longhi e Lionello Venturi, si consideravano eredi di Adolfo Venturi e non volevano condividere con nessun altro quella eredità. Sta di fatto che nel tempo quella scissione rimase e da una parte con Lionello Venturi si formarono studiosi eccellenti, tra loro diversi, come Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi, poi Maurizio Calvesi e Maurizio Fagiolo dell’Arco, Luigi Spezzaferro e numerosi altri. Da Roberto Longhi nacquero studiosi eccellenti, tra loro diversi, come Giuliano Briganti, Francesco Arcangeli, Federico Zeri, Carlo Volpe, Mina Gregori, Giovanni Previtali e tanti altri. Quei mondi non si avvicinarono quasi mai e quando alcune necessarie tangenze avvennero, scoccarono scintille.
In fondo anche io che qui vi parlo appartengo a questo secondo gruppo di storici dell’arte, i longhiani, ma riesco ad essere forse più distaccata dalla questione perché i due padri fondatori sono ormai morti da tempo e non li ho mai conosciuti, inoltre Briganti, che è mio cognato e mio maestro, aveva un animo gentile e non amava le contrapposizioni. In più ho un piccolo vantaggio  personale, mi sono laureata, tra gli ultimi, con Giulio Carlo Argan che accettò di buon grado la scelta di una tesi monografica su un pittore toscano della fine del Cinquecento che avevo scelto con Briganti e  accettò anche il metodo con cui la tesi stessa sarebbe stata stesa: la fortuna critica del pittore, la sua biografia e, soprattutto, il catalogo ragionato delle opere. Argan e Briganti, ancor più negli ultimi anni, furono molto amici e, purtroppo morirono a distanza di un mese l’uno dall’altro, 11 novembre-17 dicembre 1992. In quel mese Briganti scrisse su “la Repubblica” l’obituary  di Argan e tenne una lezione al suo posto, in sua assenza, poco dopo la sua morte, ricordandolo, all’Accademia Spagnola a San Pietro in Montorio.
Questa breve premessa mi è parsa necessaria per raccontare il piccolo gioco che Giuliano Briganti aveva inventato per il primo numero della bella rivista fondata da Roberto Longhi a Firenze nel gennaio del 1950: “Paragone”, una rivista mensile di arte e letteratura che usciva a numeri incrociati, un numero di arte e uno di letteratura. Accanto a Roberto Longhi, quattro erano i redattori in quel lontano 1950, esattamente 60 anni fa: Francesco Arcangeli, un allievo di Longhi, l’unico dei quattro che si era laureato con lui all’università di Bologna, Giuliano Briganti, Ferdinando Bologna, e Federico Zeri. A questo gioco che vorrei mostrarvi interamente svelandone tutti i misteri, ha fatto cenno Silvia Benassai nella conversazione su Roberto Longhi che si è tenuta qui il 25 febbraio scorso. Lei riteneva che l’indovinello fosse una creazione di Longhi, è invece una invenzione giocosa di Giuliano Briganti. Ve lo mostro perché può forse esemplificare il metodo del conoscitore longhiano. Lo aveva inventato, nella sua declinazione poetica, il padre di Giuliano Briganti, Aldo, anch’egli storico dell’arte e allievo di Adolfo Venturi, ma per necessità e magari anche per scelta diventato mercante di opere d’arte, un colto dealer, amico di scrittori e poeti della Roma del Novecento, da Emilio Cecchi a Mario Praz. Aldo Briganti usava questo gioco con Giuliano, suo figlio, e con Paolo Manacorda, l’amico del cuore del figlio, un giovane letterato che morì, in guerra, nel 1942, a soli ventidue anni. Per loro, per questi due ragazzi un po’ speciali, aveva inventato questo indovinello: recitava due versi dell’Ariosto, dell’Orlando Furioso”, e loro dovevano indovinare a quale canto quei versi si riferissero. Un bell’esercizio di studio applicato alla conoscenza della letteratura, della poesia. Lo stesso Giuliano quel gioco lo aveva messo in atto con Roberto Longhi e con Carlo Ludovico Ragghianti, l’altro storico dell’arte che Briganti aveva assunto come maestro accanto a Longhi. Roberto Longhi in quel primo numero di “Paragone” così presentava e illustrava L’indovinello a premio: “da molti dipinti noti, uno dei nostri redattori ha pazientemente ricavato questo indovinello /tav.24/ che, per la coerenza apparente e la sostanziale contraddizione sintattica, prima incuriosirà il lettore e poi lo stimolerà alla indagine stilistica più seriamente che certe lezioni di analisi universitaria. Tutti del resto, dal cattedratico, all’ispettore centrale, al soprintendente, allo studioso libero, al collezionista, all’artigiano, possono liberamente concorrere alla soluzione che consisterà nell’indicare da quali opere siano tratti i particolari di questa immagine ‘composita’. Per i dotti sarà gioco da nulla, s’intende, ma noi saremo egualmente lieti di render loro omaggio. Chiunque infatti, entro il 30 marzo p.v., invierà la soluzione esatta dell’indovinello, riceverà gratuitamente “Paragone” per tutto il 1950”.
Facciamo un passo indietro e rileggendo la lettera di Giuliano Briganti a Roberto Longhi del 9 gennaio 1950, conservata presso la Fondazione Longhi a Firenze, proviamo a comprendere l’invenzione del gioco. Scrive Briganti: “Prestissimo le farò avere il ‘photomontage’ che ho già iniziato con spreco di colla e grave strazio di fotografie. E’ più difficile metterlo insieme di quanto non credessi (per le proporzioni) ma spero di riuscire.”.  Il 29 gennaio Giuliano Briganti scrive nuovamente a Roberto Longhi: “Gentile Professore… ho ricevuto.. solo oggi la sua lettera della quale infinitamente la ringrazio. Tutti azzeccati naturalmente i pezzi dell’Inganno. In più la tenda con gli anelli è di Carpaccio, il panneggio in alto è Tiziano (Baccanale, mi sembra), il pavimento a destra è Veronese (lo stesso dei cani), il cavalletto a sinistra è di..Guercino (S.Luca Barberini) e il panno che scende dalla balaustra Tiziano (seppellimento di Cristo). Sono felice che Paragone esca presto.
Nei primi giorni di febbraio esce il primo numero di “Paragone”. Nel secondo numero della rivista, quello del marzo 1950, Longhi scrive: “l’indovinello è risolto. Ci stupisce il modico interesse destato dall’indovinello del nostro primo numero. Entro il termine prescritto ne abbiamo ricevuto infatti soltanto una soluzione completa, due altre con qualche lacuna. E’ tuttavia motivo di conforto che codesti migliori risultati si debbano a giovani e giovanissimi. Il vincitore, che riceverà gratuitamente ‘Paragone’ per tutto il 1950 è il Dott. Gilberto Ronci, abitante a Roma in Via Vigevano 11. Rallegramenti.  Ecco adesso insieme a Roberto Longhi, seguendo il percorso delle sue parole, cercheremo di mostrare la soluzione dell’indovinello. Vedrete il photomontage e accanto l’opera intera dalla quale Briganti ritagliò il particolare. Prosegue Roberto Longhi sul “Paragone”: Non per i tanti specialisti che non hanno voluto onorarci dei loro caratteri, ma per i lettori di ‘Paragone’ ecco ora, doverosamente, la chiave dell’indovinello. La testa di una ‘Santa Caterina’ di Matteo di Giovanni (nella pala del 1478 in San Domenico a Siena) [fig.1] è calettata sul busto della ‘Flora’ di Carlo Cignani a Modena [fig.2], drappeggiata però sulla destra, dal famoso risvolto serico dell’Aretino’ di Tiziano [fig.3]. La Santa sembra guardare un dipinto posto sur [sic] un cavalletto visto da tergo che si ritrova nel ‘San Luca’ del Guercino, già in Galleria Barberini [fig.4]. A destra, sul davanzale, i commestibili e la fiasca impagliata vengono dall’’Allegro Bevitore’ della Galleria Colonna, un tempo ritenuto del Caravaggio, poi riferito al Baburen [fig.5]. In secondo piano: il pavimento, i levrieri, il panneggio a frange, il tavolino con clessidra e libro di musica e il brano di panneggio argenteo che si appoggia sulla spalla della protagonista sono ricavati dal centro delle ‘Nozze di Cana’ di Paolo Veronese al Louvre [fig.6]; ma il bambino accorrente è invece del Lotto del ‘ritratto di famiglia della Galleria di Londra [fig.7]. Al di là di una balaustra di Tiepolo (Palazzo Labia) [fig.8], da cui però ricade il sudario della ‘Deposizione’ di Tiziano al Prado [fig.9], si affacciano una ‘Santa Orsola’ del Carpaccio (Venezia) [fig.10] e un ‘San Giovanni Battista’ di Cima da Conegliano, reperibile nella pala di Brera cui appartiene anche l’edicola architettonica celata sul dinnanzi [fig.11], a sinistra, dalla tenda di Tulle a strie di velluto nero, di un ritratto del Bronzino (Torino) [fig.12];  adorna poi di un baldacchino del Carpaccio (‘Colloquio di Sant’Orsola col padre’; Venezia) [fig.13], e, nell’alto, di un panneggio del Baccanale di Tiziano a Madrid [fig.14]; infine aperta su di un paesaggio alberato che spetta a Claudio Lorenese (Roma, Gall.Doria) [fig.15].
Giovi riconoscere: tutti i brani di autori famosi, e scelti entro i periodi più noti della pittura italiana dal Quattrocento al Settecento. Dunque, nessun tranello, nessuna beffa, ma solo una formula di esercitazione piana, dilettevole stimolante. E ce ne varremo ancora.” Così scrive Roberto Longhi nel numero di marzo della rivista, ma in realtà su “Paragone” quel gioco, frutto della vivace intelligenza creatrice di Briganti, non riapparirà più.

E’ curioso comunque che nella fototeca della Biblioteca Hertziana di Roma, dedicata esclusivamente alla storia dell’arte, esista, tra le altre della lettera “B”, una cartella di fotografie che reca il nome dell’autore “Briganti Giuliano” come se Briganti fosse il nome di un artista, che so come “Barbieri Giovanni Francesco detto il Guercino” o Dell’Abate Niccolò, e, al retro della fotografia, è scritto: Briganti G., Pasticcio- falso dei motivi storici, Roma, già coll. Briganti”, E qualcuno si è anche preso la briga di annotare a matita che nel dizionario del Thieme Becker un artista con il nome Briganti G. non esiste. Ecco scoperto definitivamente l’autore del gioco.
Ve l’ho mostrato con un certo divertimento che spero sia stato anche il vostro perché Giuliano Briganti tra le sue tante qualità aveva quella di riuscire ad insegnare facendo divertire il suo auditorio, i suoi allievi. Questo indovinello di Briganti utilizzato da Roberto Longhi per la sua nuova rivista forse può far comprendere cosa s’intende per l’occhio del conoscitore. Da un particolare di un quadro il conoscitore dovrebbe riconoscere le caratteristiche del pittore e individuare quindi l’autore del quadro. Un ampliamento questo del metodo ottocentesco del Morelli il quale sosteneva che individuando il modo in cui un pittore dipinge un orecchio, una piega di una veste o un occhio si riesce riconoscere l’autore di un’opera.


Roma, conferenza alla Dante Alighieri, 18 marzo 2010

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