Giuliano Briganti
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Gli Aldobrandini salvati

Il 20 aprile del 1598 il cardinal Giovanni Evangelista Pallotta ebbe l’onore di ospitare nel suo castello di Caldarola, presso Macerata, il pontefice regnante, Clemente VIII Aldobrandini.
Con un seguito di quindici cardinali e di “famigli” il papa faceva tappa nelle Marche nel corso del viaggio a Ferrara, capitale dell’ormai estinto ducato estense, dove per l’ingresso trionfale lo aspettava il nipote e Segretario di Stato, il cardinale Pietro Aldobrandini.
Con questo invito il cardinal Pallotta sperava certo di conquistare il favore di chi, all’epoca del conclave del 1592, egli aveva avversato insieme al partito dei Montalto (i cardinali eletti a suo tempo da Sisto V) ostacolandone inutilmente la nomina col risultato, invece, di doversi ritirare in esilio, più o meno forzato ma evidentemente opportuno, nella città natale.
Non badò quindi a spese per questo banchetto e stupì gli ospiti con la varietà delle portate e la presenza di ghiotte primizie, come i fichi fuori stagione giunti chissà da dove. Si disse anzi che avesse ordinato di infornare una quantità di pane davvero eccessiva: con avvedutezza tutta marchigiana, ne fece spedire l’avanzo a Macerata, prossima tappa del corteo papale.
L’eccezionale evento fu subito registrato nel fregio dipinto che in una delle sale del castello racconta con dettagli di grande freschezza l’ospitalità offerta al papa, registrando perfino il sonnellino pomeridiano dell’illustre ospite. Ancora nei primi anni del Seicento, con toni più aulici e in perfetto stile sistino, il cardinal Pallotta fece raffigurare in una delle sale del palazzo di città il banchetto che nelle sue intenzioni doveva consacrare la posizione della famiglia Pallotta tra quelle di maggior prestigio presso la Curia romana.

Ospite a Celsa di Livia Aldobrandini e Giancarlo Pediconi, gli amici carissimi che discendevano, naturalmente per via indiretta, dai protagonisti di questa vicenda, Giuliano Briganti progettò invece per divertire i suoi ospiti niente di meno che un poema epico, illustrato dai suoi disegni e destinato a celebrare la storia delle due dinastie.
Lo spunto gli veniva da un documento riapparso in famiglia: la pianta di un conclave a cui il cardinal Giovanni Evangelista Pallotta e il cardinale Pietro Aldobrandini avevano entrambi partecipato. Si trattava, naturalmente, di uno dei due seguiti in rapida successione alla morte di Clemente VIII nel marzo 1605: quello che portò all’elezione di Alessandro de’ Medici, che salito al soglio col nome di Leone XI sopravvisse solo di pochi giorni alla propria incoronazione, o quello che subito dopo elesse Paolo V Borghese. Entrambi videro schierati su opposti versanti il partito francese, sostenuto da Pietro Aldobrandini e dai cardinali nominati da Clemente VIII, e quello spagnolo a cui afferivano invece quelli di nomina sistina, tra i quali appunto il cardinal Pallotta: l’elezione di Camillo Borghese, nominato da Clemente ma gradito all’opposta fazione fu il risultato di un compromesso tra i Montalto e gli Aldobrandini.
Curandosi poco di questa vicenda, Giuliano immaginava giocosamente un contrasto di natura diversa, fondato su costumi e preferenze del tutto personali e certamente inventati: opponeva cioè la mentalità aperta e liberale degli Aldobrandini a quella più austera dei Pallotta, arrivando a sostenere che, in caso di vittoria di questi ultimi, il matrimonio dei loro discendenti non sarebbe mai stato autorizzato.

Qualche notizia sui protagonisti di quella che oggi si chiamerebbe una graphic novel: ma il poema epico o cavalleresco faceva parte della formazione e dell’esperienza di Giuliano al punto di non ammettere altri nomi per questa composizione.
Creato cardinale nel 1587, Giovanni Evangelista Pallotta (Caldarola, Macerata, 1548- Roma 1620) gravitò costantemente nell’orbita di Felice Peretti Montalto, Sisto V (1585-1590), che gli affidò posizioni di grande rilievo e responsabilità, tra cui quella di prefetto della Fabbrica di San Pietro: in questo ruolo Pallotta riuscì a portare a termine entro il pontificato sistino la costruzione della cupola progettata da Michelangelo e ancora incompiuta.
Ritiratosi a Caldarola dopo l’elezione di Clemente VIII Aldobrandini, rinnovò il centro della città natale secondo i criteri tardo-rinascimentali adottati a Roma dal piano sistino e ne fece raffigurare le principali fabbriche negli affreschi del suo palazzo in città.
La committenza artistica del cardinal Pallotta non ha peraltro nulla di convenzionale: protettore di Simone de Magistris, il pittore marchigiano più interessante ed originale del secondo Cinquecento, gli commissionò nel 1590 la decorazione dell’abside della Collegiata di San Martino: ne resta oggi solo la Messa del santo, opera straordinaria per molteplicità di spazi e per l’intersecarsi di diversi livelli di realtà, dal quotidiano al soprannaturale. In primo piano, il ritratto del cardinale in preghiera ci restituisce l’immagine di un uomo snello ed austero: è quindi evidente che il disegno con cui Giuliano Briganti ce lo presenta dotato di guance paffute e di doppio mento vuole solo giocare col nome del personaggio.
Tra i suoi famigliari più prossimi, coltivò la carriera ecclesiastica il nipote Giovanni Battista Pallotta (1594-1668), ricordato anche per aver dato il nome alla villa tardo-cinquecentesca fuori porta Pinciana e, come riporta il Diario di Giacinto Gigli citando un passo che potrebbe sostenere la tesi di Giuliano Briganti, per aver insultato nel maggio 1648 la potente cognata del papa regnante, Olimpia Pamphilj (che, guarda caso, era anche la suocera di Olimpia Aldobrandini): “…il cardinale le rispose che era una vergogna che il governo di Roma stesse in mano di una Puttana et altre simili parole ingiuriose…era pubblica voce che D. Olimpia havesse dormito con il cognato prima che egli fosse papa et sempre di ciò si mormorava”.
Nel Settecento proseguì la tradizione famigliare Guglielmo Pallotta (1727-1795), cardinale dal 1777.

Più note le vicende del cardinale Pietro Aldobrandini (Roma 1571-1621), nipote di Clemente VIII e avviato, in un primo tempo, alla carriera di avvocato concistoriale. Già nel settembre del 1592 fu invece ordinato prete e chiamato alla Segreteria di Stato, ricevendo un anno dopo il cappello cardinalizio.
Come Segretario di Stato attuò un disegno di accentramento di funzioni e poteri nella Santa Sede e coltivò, non sempre con successo, una politica tesa ad equilibrare l’influenza e il potere di Francia e Spagna.
Pietro Aldobrandini deve essere ricordato anche per la sua Legazione a Ferrara, capitale del ducato estense devoluto allo Stato pontificio dopo la morte di Alfonso II d’Este: ne approfittò per incamerare la meravigliosa collezione di dipinti ferraresi che, salvati così da ulteriori vendite, possiamo oggi ammirare nella galleria Doria Pamphilj a Roma.
Tra le dirette committenze del cardinale citiamo almeno la serie di lunette dipinte nei primissimi anni del secolo da Annibale Carracci e dalla sua scuola, inaugurando sulle pareti della sua cappella la moderna pittura di paesaggio.
Pietro Aldobrandini è ricordato altresì per la villa Belvedere a Frascati, costruita nel 1601-1602 su progetto di Giacomo della Porta, celebrata anche per il meraviglioso giardino ornato di ninfei e fontane tra cui lo spettacolare “teatro d’acqua”, meta obbligata, nel Settecento, per i viaggiatori in Grand Tour.

Come era prevedibile, dopo la morte di Clemente VIII e l’impossibilità di convogliare il voto del conclave sui suoi candidati egli vide declinare il suo potere: privato della Legazione di Ferrara (che dopo il 1629 passerà invece a Giovanni Battista Pallotta!) si ritirò a Ravenna, tornando a Roma solo per il conclave che nel 1621 elesse, anche con l’aiuto dei suoi nove voti, Alessandro Ludovisi, e morì prima ancora della sua conclusione.

Meno costante del cardinal Pallotta, alla fine del week-end a Celsa Giuliano Briganti abbandonò il suo poema dopo le prime stanze, quelle che qui si presentano per desiderio di Luisa Briganti.
 
(di Ludovica Trezzani)

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